di Mara Rinner
È ormai cosa certa che il cervello presenta due caratteristiche peculiari: la prima è la plasticità, ovvero esso si modifica in funzione delle esperienze di vita, a partire dalla primissima infanzia; la seconda è la permeabilità che fa sì che le caratteristiche del contesto all’interno del quale il soggetto vive ne influenzino le performance.
Cosa ci dice questo nelle questioni di genere? C'è qualche connessione tra parità di genere e cervello?
Femmine e maschi: da dove arrivano le differenze?
Se è vero che nasciamo con un sesso biologico definito geneticamente, siamo espost* ad esperienze diverse a seconda del genere a cui apparteniamo e ciò produce a sua volta effetti sulla nostra struttura biologica, determinando destini diversi per maschi e femmine.
Le nostre relazioni in ambito sociale, a cominciare dal contesto familiare, per poi proseguire in quello scolastico, hanno dunque un ruolo fondamentale nella nostra evoluzione, nella percezione delle nostre potenzialità ed aspirazioni, senza sottovalutare l’effetto degli stereotipi e dei condizionamenti definiti a livello sociale.
Ecco allora che possiamo comprendere quanto il mondo che ci circonda può essere visto come un “Brain Influencer” e dunque “i cambiamenti nelle prestazioni dovuti all’apprendimento si associano a cambiamenti a livello funzionale e anatomico”.
Gli effetti del contesto familiare nei primi anni di vita
Il primo contesto in cui ci formiamo e dal quale veniamo condizionat* è quello a noi più vicino: la famiglia.
Nel libro “Dalla parte delle bambine”, Elena Gianini Belotti ci dice che: “Le radici della nostra individualità sono profonde e ci sfuggono perché non ci appartengono, altri le hanno coltivate per noi, a nostra insaputa. La bambina che a quattro anni contempla estatica la propria immagine allo specchio, è già condizionata a questa contemplazione dai quattro anni precedenti, più nove mesi in cui è stata attesa e durante i quali si approntavano gli strumenti atti a fare di lei una femmina il più possibile simile a tutte le altre.”
Fin da quando si ha notizia dell’esistenza di un bambino o di una bambina, genitori, parenti, amici e amiche si rapportano ad ess* in modo differenziato a seconda del sesso, determinando una serie di stimoli che ne condizionano in modo diverso il carattere, la visione di sé e del mondo circostante.
Attraverso i giochi, le aspettative ed altre forme di “espressione del genere” (come ad esempio l’abbigliamento e il trucco), ai soggetti di sesso femminile si insegna un modo di rappresentarsi e di stare al mondo diverso da quello dei soggetti di sesso maschile.
L’identificazione del sé con il genere femminile piuttosto che maschile comincia già a formarsi nella prima infanzia, quando il bambino o la bambina riconosce negli adulti le caratteristiche dei due sessi e ad esse comincia a conformarsi; dal primo anno di età inizia a percepire di essere un maschio o di essere una femmina.
In questo lavoro di conformazione – spiega molto bene Belotti – si perdono parti importanti e preziose della personalità, invece che stimolarne l’arricchimento indipendentemente dal sesso biologico.
Il ruolo cruciale del sistema scolastico
Sappiamo bene, tuttavia, che la famiglia è solo uno degli ambiti in cui gli individui si formano e che i bimbi e le bimbe entrano sempre prima in contatto con diversi contesti educativi, che contribuiscono a segnarne il cammino di crescita. Tagesmutter, asili nido, scuola materna, scuola elementare e via dicendo, rappresentano contesti istituzionali che giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità.
E' fondamentale occuparsi di differenze di genere nei contesti scolastici, altrimenti la scuola rischia di configurarsi come il “primo anello in una catena di diseguaglianze che si riverbera nella vita adulta, ed in particolare nel mondo del lavoro.”
Dalla scuola al lavoro: il peso degli stereotipi sulla parità di genere
In prima approssimazione possiamo dire che lo stereotipo - nella sua accezione negativa - si sostanzia in un atteggiamento ostile negativo o inferiorizzante che viene assunto nei confronti di un soggetto appartenente ad un determinato gruppo.
Per quanto riguarda nello specifico il genere, la professoressa di psicologia sociale Naomi Ellemers, chiarisce in un articolo pubblicato nel 2018 che “Il genere è considerato una caratteristica primaria nella percezione della persona. I bambini e gli adulti raggruppano immediatamente e implicitamente individui sconosciuti in base al loro genere, anche quando questa categorizzazione non è rilevante per la situazione e non ha benefici informativi. […] Ciò contribuisce alla formazione e alla persistenza degli stereotipi di genere e rafforza la percezione delle differenze tra uomini e donne.”
Se si considerano in questa visione anche le scelte dei percorsi scolastici, indotte da una visione stereotipata di cosa sia "a misura di maschio" e cosa a "misura di femmina", risulta facile comprendere come: “differenze valutative indotte dagli stereotipi di genere possono avere importanti conseguenze sullo sviluppo della carriera e sui livelli di reddito di uomini e donne, che possono accumularsi in sostanziali disuguaglianze di genere nel corso della vita.”
Tutto ciò contribuisce allo squilibrio che oggi viviamo nel mondo del lavoro: le donne (per ruolo assunto socialmente) si devono spesso far carico di un bilanciamento molto complesso tra lavoro e famiglia, sentendosi addosso un peso che normalmente i maschi non portano, in quanto abituati per cultura a delegare la parte delle attività di cura tipiche della famiglia alla moglie o compagna.
Visione che porta queste donne a trasformarsi in vere e proprie “funambole” tra vita privata e lavoro, costantemente in affanno, spesso frustrate perché si sentono non adatte né efficaci in nessuno dei ruoli agiti con tanta fatica.
Un riequilibrio dei ruoli sociali e delle politiche di welfare e flessibilità aziendali sono passi fondamentali per permettere una vera inclusione e parità tra i generi.
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